Come eravamo

Il direttore del DSM Lucio Luciano

2015 / Ma non tutti sono favorevoli alla rivoluzione:
è il caso del direttore DSM

Il direttore del Dsm Lucio Luciano – fin dall’inizio diffidente verso l’associazione di familiari considerata una sorta di “terzo incomodo” – rifiuta il confronto al Tavolo di Lavoro avviato con la ASL come prevede il Progetto Obiettivo Salute Mentale per controllare la “qualità delle cure” ed evitare l’”autoreferenzialità”. Così dopo inutili solleciti, “La Rete Sociale” è costretta a chiedere un’audizione urgente al presidente della Commissione Regionale Trasparenza, onorevole Giulia Abbate, presentando un dossier con una serie di inadempienze cui lo stesso Direttore è invitato a rispondere. Risultato: l’audizione è concessa il 21 aprile 2015 e il resoconto è agli atti della Regione come audizione n. 457 del 21 aprile 2015”. Eccone una sintesi per capire il contesto nel quale è nata.  

Il contesto in cui nasce la denuncia de “La Rete Sociale”

Il paziente non perde i suoi diritti di cittadinanza solo perché malato: come il diritto a scegliere il proprio medico; al consenso informato sulle terapie somministrate; a non essere spostato da un luogo di cura all’altro come un pacco senza motivazione terapeutica presa in riunioni collegiali (cioè in UVI o Unità di Valutazione Integrata); a non essere rinchiuso per settimane nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) o abbandonato per anni in pseudo “case di cura” o SIR (strutture residenziali intermedie ai manicomi) con l’etichetta di “malato cronico” e “pericoloso”. Nel 2015 le  linee di indirizzo indicano, dunque, sia gli strumenti “sanitari” per curare persone con disagio psichico, sia le modalità per il loro reinserimento sociale, in grado di abbassare il costo pro-capite come il decreto n.16/2013 della Regione Campania sui PTRI con Budget di Salute (Bds) ma la necessità di Trasparenza e di controllo è un  nodo fondamentale:  perché è anche controllo dell’efficacia del servizio e di riduzione degli sprechi. Nel caso del DSM di Benevento, per esempio, la gestione accentratrice ha favorito il ricorso ad un “privato” più o meno convenzionato che nessuno ha sottoposto ad un adeguato controllo dei risultati. 

Il ruolo di “controllo” delle associazioni di familiari voluto dalla legge

Perciò nel campo della Salute Mentale – dove la cura richiede spesso una “presa in carico a vita” del paziente – si è compreso che il migliore controllo è quello affidato allo stesso utente/consumatore e ai suoi familiari. Pertanto la presenza delle associazioni di familiari all’interno del Dsm viene istituzionalizzata perché ritenuta FONDAMENTALE: “… un DSM capace di intercettare e rispondere alle nuove domande deve essere basato non solo sull’assetto organizzativo ma orientato alla progettualità; … deve sviluppare sistemi di monitoraggio dei processi all’interno di una cultura della trasparenza, come effettivo superamento dell’autoreferenzialità…. porre attenzione al lavoro di équipe … cogliendo la crescente capacità degli utenti, dei loro familiari, delle loro associazioni, ad affermare autonomamente l’area dei propri bisogni”. In questo senso il DSM : “… deve favorire i livelli partecipativi per raggiungere obiettivi come: la costruzione di un progetto terapeutico individuale, personalizzato…(PTRI)“. In tale ottica è necessario che “…l’Asl si doti di un proprio Piano di Azione Locale per la Salute Mentale elaborato attraverso la concertazione con tutte le agenzie del proprio territorio che dovrà riflettere le indicazioni strategiche espresse nel presente documento…”

Dalla legislazione vigente, dunque, emerge chiaramente che  i criteri delle scelte terapeutiche sono improntati alla MASSIMA TRASPARENZA tenendo conto delle “variabili” socio-sanitarie – e non solo mediche – indispensabili per la cura e il reinserimento sociale. “Ebbene, la documentazione allegata dimostra, invece, la PERVICACE CHIUSURA del vertice del Dsm ad ogni confronto con tutti gli organi “consultivi” previsti dal Regolamento del Dipartimento e perfino con il “Tavolo di concertazione” istituito dall’Asl di Benevento”, si legge nel dossier consegnato alla Commissione Trasparenza. Una CHIUSURA che ha consentito una gestione incontrollabile, cure scarsamente efficaci e una paradossale levitazione della spesa. Infatti, la mancata “presa in carico” di molti pazienti attraverso i PTRI – che obbligano lo psichiatra ad assumersi la responsabilità di individuare un Progetto riabilitativo su misura del paziente – non ha consentito di evitare ricoveri impropri in case di cura convenzionate. Perciò la Regione Campania indica fra coloro che debbono accedere IN MANIERA PRIORITARIA ai PTRI: “persone affette da malattie croniche internate nelle case di cura convenzionate dentro e fuori la Regione Campania… e negli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) ”. Una piaga, dunque, ben individuata senza sottovalutarne la  portata sull’intera spesa sanitaria: ai  PTRI basati sui Budget di Salute,  infatti, è stato dedicato l’art. 46 del più importante strumento di programmazione economica e finanziaria della Regione Campania quale è il Bilancio 2012 – 2014.  In questo contesto, dunque, nasce la nostra richiesta di audizione alla COMMISSIONE TRASPARENZA della Regione Campania, tramite il suo presidente Giulia Abate (nella foto).

Oggi noi chiediamo un ripristino delle norme vigenti a partire dall’immediato pagamento dei PTRI a favore dei pazienti che, grazie ai Budget di Salute, sono oggi i veri destinatari della spesa sanitaria sottraendola alle strutture che operano a fini di lucro. Il budget, infatti, viene consegnato ai pazienti i quali, tramite un contratto formale, scelgono “chi” e “come” deve curarli, acquisendo un “diritto a scegliere la cura”. Infine, nella documentazione che siamo in grado di produrre, c’è il risultato del Tavolo di Lavoro istituito dall’ex Direttore Generale Michele Rossi: l’esperienza più democratica e trasparente di gestione della Asl di Benevento e della Salute Mentale. Perchè dimostra come l’impegno gratuito di una piccola equipe multidisciplinare che si sta riunendo da quasi due anni ogni settimana nella Asl, è stato sufficiente per eliminare abusi e inadempienze e ottenere un recupero di efficienza.